Il momento “quasi” magico del nostro Paese continua.
I buoni numeri che continuano a registrarsi (per esempio, il PIL del 3° trimestre dovrebbe attestarsi oltre il 2%)confermano la forza della nostra ripresa, e non solo. Nella “speciale” classifica europea, l’Italia occupa il 1° posto, un primato che forse avevamo ottenuto solo nel boom di fine anni 50/inizio anni 60 del secolo scorso.
Ovvio che la bontà di questi dati abbia conseguenze che vanno oltre la pura “accademia”.
Per esempio, Standard & Poor’s, una delle più importanti agenzie di rating, ha deciso di migliorare l’outlook del nostro Paese, portandolo da stabile a positivo: già nel 2020, peraltro, aveva innalzato la nostra pagella, portando il giudizio da negativo a stabile. Un progressione che, oltre a testimoniare la fiducia verso il nostro Paese, in cui l’avvento del Governo Draghi, come più e più volte ricordato, sta ridando una credibilità a livello internazionale fino a poco tempo fa impensabile, ha impatti importanti sulla nostra struttura finanziaria. Il più evidenti è sul nostro debito pubblico, un aspetto piuttosto delicato: un eventuale declassamento, per esempio, anche solo in termini di outlook avvicinerebbe i nostri titoli alla soglia molto pericolosa della tripla B, sotto la quale molto investitori dovrebbero “chiudere” le posizioni. Per non parlare del costo del debito, che risentirebbe immediatamente della valutazione negativa (a maggior ragione se pensiamo al livello in cui ci siamo trovati ad inizio anno, quando, nel culmine della pandemia, siamo arrivati a toccare quasi il 160%, livello quasi insostenibile).
Secondo la nuova Legge di Bilancio, il peso degli interessi dovrebbe passare dal 3,5% del 2020 al 2,5% del 2024.
A dare linfa ai pareri degli analisti della società di rating, come detto, sono sostanzialmente 2 elementi, tra di loro interdipendenti: la buona crescita (con il PIL che entro l’anno prossimo dovrebbe tornare ai livelli pre-covid)e la discesa del debito pubblico, destinato entro l’anno prossimo a scendere sotto il 150% del rapporto debito/PIL. La stabilità politica e la capacità di Draghi di portare avanti gli impegni assunti con l’Europa e le riforme che ci sono state richieste(condizione imprescindibile per poter ottenere gli aiuti previsti dal piano Next Generation EU)sono gli ulteriori ingredienti.
La fiducia verso il nostro Paese è dimostrata anche dal fatto che negli ultimi mesi sono aumentati gli acquisti su titoli del nostro debito pubblico: dopo anni di “alleggerimenti”, il ritorno verso questo asset, senza dubbio aiutato anche dai rendimenti, superiori a quasi tutte le emissioni analoghe degli altri Paesi europei, ha riportato la quota in mano agli operatori stranieri oltre il 30% (un anno fa eravamo al 29.2%).
Mercati asiatici senza una direzione precisa. A poco dalla chiusura, Shanghai cresce dello 0,46%, seguita da Hong Kong, in salita dello 0,2%. Si fa sentire l’andamento negativo del settore immobiliare, sulle voci di un inasprimento fiscale che penalizzerebbe gli investimenti. Sulla parità Evergrande, dopo il pagamento degli interessi sull’emissione obbligazionaria, già in scadenza il 23 settembre. Negativa invece Tokyo dopo l’esito negativo della tornata elettorale nelle Prefettura di Shizouka, dove si votava per un seggio e che ha visto sconfitta la coalizione che appoggia il nuovo Governo del Premier Kishida.
Futures al momento ovunque, seppur modestamente, positivi.
Petrolio ancora in crescita, con il WTI ormai prossimo a $ 85 (84,53, + 0,81%). “Strappo” del gas naturale, che sale del 4,20%, a $ 5.502.
Bene anche l’oro, che si riporta a $ 1.800 per oncia.
In recupero lo spread, naturale conseguenza del giudizio positivo sul rating: questa mattina lo troviamo a 104,2 bp. Scende, seppur di poco, il rendimento del BTP, che si allontana un poco dalla soglia dell’1%, livello che non toccava dalla primavera scorsa. Treasury americano a 1,65%.
Stabile l’€/$, con la moneta USA a 1,1655.
In ripresa il bitcoin: dopo lo strappo della settimana scorsa, quando era arrivato a toccare nuovi massimi, con le quotazioni oltre i $ 67.000, era sceso, nella giornata di ieri, sotto i $ 60.000. Lo troviamo, questa mattina, a $ 62.000.
Ps: finisce il lockdown più lungo sin qui attuato. L’amministrazione di Melbourne, in Australia, ha infatti deciso di revocare l’obbligo dello “stay at home”: dal marzo 2020 ha infatti avuto ben 6 lockdown, per un totale di 262 giorni, superando, in questa speciale classifica, Buenos Aires, ferma a 234 giorni. In realtà, i casi di Covid pare continuino ad aumentare: meno, però, della vaccinazioni, con oltre il 70% della popolazione che ha ricevuto la doppia dose.